Se sei interessato a vendere la Cannabis light nel tuo bar o pub, sei capitato nel sito giusto: in questo post ti spieghiamo tutto quello che c’è da sapere al riguardo e ti illustriamo le nostre proposte per la rivendita dei prodotti a marchio Cannabis Light District oppure “white label”.
Tutti i bar italiani così come i pub o le pizzerie al taglio possono legittimamente vendere la Cannabis light, dove per Cannabis light si intende quella con THC inferiore allo 0,6 / 0,5%. Per la vendita non servono autorizzazioni o licenze particolari, né occorre possedere un codice Ateco ad hoc.
La Cannabis light è un prodotto ad uso tecnico e non umano, e non costituisce un surrogato del tabacco. Non può quindi essere presentato come ad uso ricreativo: il rivenditore comunque non deve dire o fare nulla di particolare, ma semplicemente limitarsi a dire che è un prodotto ad uso tecnico, da collezione o per profumare gli ambienti.
Ciò che il rivenditore dovrà fare è:
- limitarsi a controllare che la confezione sia sigillata e dunque adatta alla vendita;
- controllare che il THC sia inferiore ai limiti suddetti (per la Cannabis dotata di cartellino delle sementi europee il limite è di 0,6%, mentre per tutte le altre come ad esempio le svizzere il limite è di 0,5%);
- farsi consegnare dal fornitore le analisi ed (eventualmente) i cartellini;
- conservare tutte le fatture di acquisto del prodotto per almeno un anno o per tutto il periodo in cui il prodotto si trova all’interno del negozio.
Le bustine debbono rimanere sempre sigillate, ed il rivenditore non dovrà far altro che consegnarle all’acquirente senza fornire particolari informazioni sul prodotto, il cliente deciderà poi in autonomia che utilizzo farne.
In questa sede giova ricordare che sotto lo 0,5% di THC il prodotto non può essere considerato come stupefacente, in base alla Letteratura Scientifica e Medica internazionale ed anche in base all’orientamento unanime della Giurisprudenza italiana. (Ulteriori approfondimenti sul tema si trovano nell’ultimo paragrafo del presente post).
La proposta commerciale di Cannabis Light District
Premesso quanto sopra, ora procediamo con l’illustrazione della nostra proposta commerciale.
Per quanto riguarda i prodotti, da tempo siamo impegnati nel fornire solo le migliori qualità ad un ottimo prezzo.
Per quanto riguarda le infiorescenze – ovvero la c.d. Cannabis light – le abbiamo sia di nostra produzione che di altri produttori agricoli. Possiamo fornire confezioni sia a marchio Cannabi Light District, sia “white label” (con possibilità di fornire assistenza anche relativamente alla creazione del proprio marchio). Su ogni bustina possiamo garantire un guadagno minimo di € 5/6. Quì trovi il catalogo con i prezzi. Puoi anche contattarci in qualsiasi momento per concordare le condizioni o anche solo per avere informazioni più dettagliate sulle nostre offerte.
Il diritto di reso. Oltre a fornire prodotti di ottima qualità a prezzi assolutamente vantaggiosi, ci distinguiamo per l’offrirli con il diritto di reso da parte dell’acquirente. Prima dell’acquisto si provvederà ad effettuare lo scambio del contratto con diritto di reso, in virtù del quale il cliente-rivenditore entro due mesi dall’acquisto può decidere di restituire la merce ed ottenere la restituzione di quanto pagato.
Gli altri prodotti a marchio Cannabis Light District. Oltre alle infiorescenze, la nostra azienda produce anche: birre artigianali alla Canapa realizzate senza l’aggiunta di additivi, prodotti chimici o “sostitutivi” della pianta; liquori ed amari – come la famosissima Pozione<05 -; cioccolata all’olio di Canapa. Tutto bio, tutto di produzione artigianale e tutto Made in Marche!
Per gli ordini di importo superiore ad € 200 la spedizione è gratuita.
Contattaci senza impegno scrivendo a info@naab.it o telefonando al numero 345.3846161 per richiedere ulteriori informazioni sugli aspetti commerciali, legali o di marketing.
Ancora sugli aspetti normativi della vendita di Cannabis light
La Legge n. 242/2016 del 22 Dicembre 2016 consente la produzione – e dunque anche la vendita – in Italia di piante ed infiorescenze di Cannabis qualora le stesse abbiano un livello di THC inferiore allo 0,6%.
Questo infatti è quanto prevede l’art. 4, comma 5, della suddetta Legge n. 242/2016:
“5. Qualora all’esito del controllo il contenuto complessivo di THC della coltivazione risulti superiore allo 0,2 per cento ed entro il limite dello 0,6 per cento, nessuna responsabilità è posta a carico dell’agricoltore che ha rispettato le prescrizioni di cui alla presente legge”.
Si noti che la legge sul punto non statuisce il divieto per il coltivatore di utilizzare o vendere la Cannabis coltivata ove il THC rientri nel range 0,2/0,6% (né prevede delle sanzioni di tipo penale o amministrativo). Ed allora, dato che non c’è alcun divieto sul punto, anche la successiva messa in vendita è da ritenersi legittima, in base al noto principio per cui è lecito tutto ciò che non è espressamente vietato da una legge (c.d. principio di legalità, cfr.: art. 25 della Costituzione ed artt. 1 e 199 del Codice Penale).
Inoltre, a prescindere dalla Legge n. 242/2016 si consideri che:
- il D.P.R. n. 309/1990 (c.d. Testo Unico stupefacenti) ha posto il superamento del limite di 0,5% di THC nelle infiorescenze quale condizione per potersi parlare di stupefacente;
- la Letteratura Scientifica e Medica internazionale afferma che sotto la soglia di 0,5% di THC il prodotto non può definirsi come “droga” in quanto in tal caso non possiede effetti psicotropi (cfr., tra gli altri: “Trattato di Tossicologia Forense”, a cura di Bertol – Lodi – Mari – Marozzi, anno 2000, Ed. CEDAM);
- questi principi sono stati recepiti anche dalla Corte di Cassazione, massimo Giudice in Italia, con orientamento unanime (cfr. in tal senso, tra le tante: Sezioni Unite Penali n. 28605/2008; Cass. Pen. n. 21814/2010; Cass. Pen. 40620/2013), dal seguente tenore letterale: “In materia di coltivazione non autorizzata di piante stupefacenti, una volta accertata l’idoneità di una pianta a produrre il tetraidrocannabinolo (THC) che è l’elemento produttivo degli effetti psicotropi, essa deve essere considerata, agli effetti finali, alla stessa stregua di una cannabis indica, a nulla rilevando la sua particolare, diversa denominazione, e la maggiore o minore concentrazione di principio attivo, purché non inferiore allo zero virgola cinque per cento” (così: Cass. Pen. n. 16648/1989).
La vendita di infiorescenze da parte dei commercianti non richiede come già detto il possesso di specifiche autorizzazioni o licenze.
Da ultimo va sottolineato che tali prodotti non possono essere messi in vendita per essere inalati o vaporizzati o comunque ad uso umano, ma debbono essere messi in vendita esclusivamente per “uso tecnico”, che può consistere, tra gli altri, nel collezionismo, nello scopo ornamentale, per deodorare gli ambienti ecc.. Si sconsiglia quindi di fare una pubblicità sugli utilizzi del prodotto differente da quella ad uso tecnico. Corollario di ciò è anche che tali prodotti non possono essere considerati come “surrogati del tabacco”, ed infatti gli stessi stanno trovando ampia diffusione anche presso i tabaccai. Si sconsiglia di far utilizzare il prodotto in loco alla clientela.
Le domande che può capitare di sentirsi fare
Capita che dei clienti possano fare delle domande sui prodotti a base di Cannabis. Di seguito si riportano le più frequenti.
Che cos’è la Cannabis Light?
Per Cannabis Light si intendono i fiori di Cannabis aventi un contenuto di THC inferiore allo 0,6%, e come tale perfettamente legale in base alla Legge n. 242/2016.
Che cos’è il THC?
Il THC, sigla abbreviativa di “delta-9-tetraidrocannabinolo”, è l’unico tra i principi attivi contenuti nel fiore di Cannabis ad avere (potenzialmente) effetti psicotropi. Sotto la soglia di 0,5% la sostanza non ha effetti psicotropi, e comunque la Legge n. 242/2016 consente la produzione, l’utilizzo ed il commercio della infiorescenza sino alla soglia di 0,6% di THC.
Che cos’è il CBD?
Il CBD, sigla abbreviativa di “cannabidiolo”, è un principio attivo contenuto nella infiorescenza di Cannabis. Secondo molti ha effetti rilassanti oltre ad avere molti altri effetti positivi sulla persona. In Italia il CBD non è disciplinato da alcuna norma, e non è considerato come un medicinale, per cui non lo si può pubblicizzare come un prodotto avente proprietà curative.