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Come pubblicizzare legalmente la vendita di CBD
Redazione

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Come pubblicizzare legalmente la vendita di CBD

Prima di affrontare la questione su come pubblicizzarne legalmente la vendita, va osservato che sul tema del CBD in Italia c’è un vuoto normativo: il cannabidiolo non rientra infatti in alcuna categoria merceologica o classificazione, non essendo nè un medicinale, nè un prodotto di cosmetica, e neppure un alimento. Non è inoltre legato ad alcun limite e nemmeno la sua vendita è disciplinata; e così è anche nella maggior parte dei Paesi europei.

Non resta quindi che presentarlo come un prodotto da collezione, come prodotto tecnico o per ricerca.

Da quanto sopra deriva però anche che è vietato presentarlo come medicinale ed anzi questo tipo di pubblicità costituisce un illecito comportante l’applicazione di sanzioni in capo al commerciante.

E’ opportuno che il commerciante si astenga dal dire alcunchè sulle modalità di assunzione. Potrà invece consigliare video, articoli di giornale, libri, siti ecc. che trattano l’argomento (ed in effetti ce n’è di materiale che ne parla: si veda tra l’altro: “Insonnia e acciacchi gli anziani scoprono l’erba di grace“, da “laRepubblica“, articolo di Sabato 21 luglio 2018, pag. 14). Si potrà ad esempio appendere all’interno del negozio un quadro che riporta un ritaglio di giornale dove sono illustrate le modalità di assunzione. La pubblicità indiretta è dunque lecita, quella fatta in modo diretto è invece sconsigliata.

Agli agenti che si presentano nel punto vendita per dei controlli, l’unica cosa da dire è che il prodotto è olio al CBD, senza ulteriori aggiunte o specificazioni. Gli agenti potranno sequestrare il prodotto, che verrà poi restituito ove dovesse risultare realizzato in modo corretto e con un contenuto di THC inferiore ai limiti di legge. Per quanto riguarda le capsule di CBD, ugualmente a domanda degli agenti si dovrà rispondere dicendo quello che è senza ulteriori aggiunte.

Nella prassi, nei pochi casi in cui vi sono stati dei sequestri da parte degli Agenti, il CBD è stato sempre restituito dopo che è stata fatta la perizia.

Etichettatura. Sul contenuto dell’etichetta occorre invece fare attenzione. Secondo noi l’etichetta deve essere la più semplice possibile: si dovrà indicare che è olio al CBD, la provenienza o il distributore, oltre alla seguente dicitura: “E’ destinato ad uso di ricerca, tecnico e per tutti gli usi di cui all’art. 2 della Legge n. 242/2016 e per tutti quegli usi che, pur non previsti, non sono vietati“. Va poi indicato “THC nei limiti di legge” e “CBD nei limiti di….“, in quanto, ove si indichi una percentuale precisa, e la stessa dovesse poi risultare diversa al momento delle analisi, potrebbe scattare l’illecito della frode in commercio  con l’applicazione delle relative sanzioni. Non è inoltre necessario mettere diciture come “non inalare… non è un farmaco… non è un alimento… scade il….“.

Luogo di produzione del CBD. Sul luogo di produzione non occorrono cautele particolari, oltre alle norme minime di sicurezza ed igene ed oltre alla presenza di una zona deputata al procedimento di essiccazione. Andrebbe invece tenuto il registro per lo smaltimento del THC onde evitare eventuali sanzioni.

Da ultimo è consigliato a fine produzione effettuare l’analisi sul contenuto di THC, che deve risultare al di sotto della soglia dello 0,5%. Sul tema va ricordato che nel caso dell’estrazione, il THC sale anche di quattro/cinque volte, per cui l’analisi effettuata da laboratorio accreditato è opportuna.

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