Leggendo un estratto pubblicato della recente Sentenza n. 12/2018 del 6.12.2018 della III Sezione penale della Corte di Cassazione si potrebbe essere indotti a ritenere che la commercializzazione di infiorescenze con THC oltre lo 0,2% integri l’illecito penale, posto che la S.C. ha testualmente affermato che “la percentuale di THC presente nella canapa non deve essere superiore allo 0,2%“.
In realtà le cose non stanno in questi termini e di fatto tale pronuncia non ha mutato il quadro giuridico. Infatti, nello stesso estratto, successivamente al periodo sopra riportato, la stessa S.C. afferma anche che “fermo restando che, per la sussistenza del reato di cui all’art. 73, comma 4, d.P.R. n. 309 del 1990, occorre verificare a carico del commerciante l’idoneità ella percentuale di THC a produrre un effetto drogante rilevabile“. E con ciò si ritorna al principio di carattere generale in base al quale sotto lo 0,5% di THC la sostanza non può essere ritenuta come stupefacente poichè non possiede effetti psicotropi, in base alla Letteratura Medica e Scientifica internazionale; principio questo ribadito più volte anche dai Giudici italiani e dalla stessa Corte di Cassazione. Si consideri inoltre che ad oggi non è mai stata emessa una condanna per la c.d. Cannabis light con THC sotto lo 0,5% (e per la verità nemmeno sotto lo 0,6%).
Tra l’altro il principio del limite dello 0,5% era stato ribadito anche dalla discussa Circolare del Ministero degli Interni dell’Estate 2018 in base alla quale non vi può essere rilevanza penale al di sotto di tale soglia, per cui può affermarsi con certezza che in presenza di THC pari o inferiore allo 0,5% non potrà esservi alcuna condanna, proprio perchè il commerciante non sta vendendo “droga”.
Inoltre, considerando che in Italia c’è una legge (la n. 242/2016) che consente la produzione di Canapa con THC entro lo 0,6%, può ritenersi che detto limite possa estendersi in via analogica nei confronti anche dei commercianti. Se così non fosse, il Legislatore avrebbe espressamente statuito il divieto di vendita del prodotto con THC nel range 0,5/0,6% e invece così non è stato, per cui tale normativa si deve applicare anche a beneficio dei successivi utilizzatori. Semmai, il limite dello 0,6% potrebbe applicarsi solo in presenza di coltivazione derivante da semi certificati e rientranti nel Catalogo europeo delle varietà ammesse, e dunque in presenza del cartellino, anche se non può escludersi a priori l’applicabilità pure negli altri casi sempre per il principio dell’analogia – principio onnipresente in ambito penale -.
Quindi in conclusione la decisione in parola non ha mutato il quadro giuridico nel nostro Paese fermo restando che occorrerebbe una maggiore chiarezza dal punto di vista normativo e fermo restando questa continua “guerra” nei confronti di una pianta dalle mille proprietà e dai mille utilizzi appare assurda, a maggior ragione in presenza di THC di modesta entità.